Doping, le micro-dosi possono eludere i controlli

Un documentario trasmesso dall’emittente televisiva France 2 ha dimostrato che le micro-dosi di sostanze dopanti (EPO, GH, corticosteroidi ed emotrasfusioni) non vengono rilevate all’atto dei controlli incrociati con i valori del Passaporto Biologico UCI. Misurato su 8 atleti l’incremento prestazionale ottenuto con le micro-dosi.

Un documentario che sarebbe stato interessante vedere anche qui in Italia, dove invece la TV è utilizzata per tutt’altro motivo… Ieri sera, domenica 3 Maggio, l’emittente televisiva francese France 2 ha mandato in onda un documentario nel quale Pierre Sallet (direttore dell’organizzazione per la Trasparenza degli Atleti), medico e studioso, con il beneplacito della WADA ha deciso di sottoporre a pratiche dopanti, della durata di un mese, otto atleti di svariate discipline, incluso il ciclismo.

Per gli otto atleti sono stati misurati tutti i parametri biologici (VO2max, watt, analisi fibre muscolari, analisi del sangue, ecc), al fine di creare il Passaporto Biologico dell’atleta, prima di sottoporli al periodo dopante. Agli atleti è stato anche chiesto di prodursi in una performance della loro specialità (cronometro individuale su ciclo-mulino, corsa 3.000 metri).

Dopo un mese di pratiche a base di micro-dosi di EPO e altre sostanze, gli otto atleti sono stati nuovamente sottoposti a tutte le misurazioni, inclusi ovviamente i test. Per quanto riguarda il VO2max, è stato registrato un incremento medio del 6.1%. La cronometro individuale di 14 km sul ciclo-mulino è migliorata del 2.1%. La prestazione nella corsa dei 3.000 metri è migliorata del 2.8%.

Guillame Antonietti, uno degli otto atleti, amatore praticante la corsa, ha dichiarato che le micro-dosi appartengono a un altro mondo dello sport, incrementano le prestazioni senza apparenti controindicazioni né danni collaterali. Le analisi del sangue hanno rivelato che nessuno di loro, assumendo doping in micro-dosi, avrebbe superato i valori presenti sul proprio Passaporto Biologico. Il che testimonia come un passaporto pulito non significhi necessariamente che l’atleta sia pulito.

Qualche ciclista professionista francese, come Pierre Rolland (Europcar) e Arnaud Démare (FDJ), ha commentato il documentario con dei “tweet” sui social-media, sostenendo che il passaporto biologico non è sufficiente a scongiurare l’utilizzo del doping, ma occorre altro. Senza tuttavia specificare cosa. E il vantaggio del doping, al momento, sta proprio in quella “black zone”.

Impossibile non ricordare le parole di Danilo Di Luca pronunciate l’anno scorso durante l’intervista nel programma televisivo Mediaset “Le Iene”: ”Il ciclismo è cambiato, certo. Ma in peggio”.


Articolo a cura di Roberto Chiappa

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