Olimpiadi, finestra sul ciclismo “road”

Bilancio di quanto visto sulle strade di Rio, nelle prove in linea e a cronometro, maschili e femminili. Tracciati con qualche pecca nella sicurezza, soccorsi medici e riprese TV non proprio all’altezza di una Olimpiade. L’Italia torna a casa con il bronzo di Elisa Longo Borghini, alcune certezze e un po’ di rammarico per la caduta di Nibali.


Si sono concluse oggi, con le prove individuali a cronometro femminili e maschili, le competizioni olimpiche del ciclismo su strada, che avevano aperto i Giochi sabato 6 agosto con la gara in linea uomini, proseguendo domenica 7 con quella delle donne.

I percorsi
Tecnicamente molto ben realizzati, con la prova in linea degna di una gara di questo rango, impegnativa anche per via del clima, con il vento marino umido a disturbare i corridori e rendere scivoloso l’asfalto, già di per sé non proprio impeccabile. E di pecche ne abbiamo viste anche sotto il profilo della sicurezza passiva, con cordoli e marciapiedi lasciati colpevolmente scoperti. Abbiamo visto tutti chi ne ha fatto le spese, inutile ritornare sui nomi degli atleti e delle atlete che hanno dovuto ricorrere alle cure ospedaliere. Sorge spontaneo l’interrogativo sulla bontà del lavoro svolto dai commissari UCI preposti alla verifica della sicurezza dei percorsi. E secondo gli atleti, era tutto OK oppure bisognava apportare qualche modifica? Non lo sapremo mai.

Anche i 29.7 km della cronometro (un giro per le donne, due per gli uomini) sono da catalogare come impegnativi, perché le salite di Grumari (1.3 km, pendenza media 9.4%, massima 24.1%) e Grota Funda (2.13 km, pendenza media 6.8%, massima 10.3%) hanno contribuito a scremare i valori in campo, facendo emergere gli specialisti più completi delle prove contro il tempo. Peccato che le esigenze tecniche abbiano portato ad asfaltare un tratto di costa in prossimità della spiaggia, uno scempio che forse si sarebbe potuto evitare.

I protagonisti
Un dato su tutti: chi ha corso il Tour de France ad alto livello, classificandosi nei primi 15 posti della generale, qui a Rio ha pagato la normale, fisiologica flessione della condizione atletica. E ciò è valso sia per la prova in linea sia per quella a cronometro, dove solo Chris Froome è riuscito a salire sul podio brasiliano, nella cronometro, dopo avere dominato il Tour. Bene aveva fatto Vincenzo Nibali, incurante delle critiche a lui rivolte, a stabilire un cammino di avvicinamento a Rio passante anche per la Grande Boucle, disputata senza mai esagerare. E se non fosse caduto, lo “Squalo dello Stretto” avrebbe sicuramente azzannato una medaglia olimpica. Medaglia che nella prova in linea è andata al belga Greg Van Avermaet portandosi appresso altri due atleti nord-europei, il danese Jakob Fuglsang e il polacco Rafal Majka. La Nazionale italiana maschile ha corso una gara impeccabile, non ha nulla da rimproverarsi per la tattica mesa in pratica. La sfortuna l’ha privata di una medaglia che sembrava meritatissima.

Medaglia che è arrivata invece dalla Nazionale femminile, con il bronzo di Elisa Longo Borghini, che alla sua prima partecipazione olimpica ha centrato un obiettivo prestigioso e importantissimo, sul quale costruire il prosieguo della sua fin qui già vincente carriera. Brave comunque anche tutte le altre ragazze del CT Dino Salvoldi.

Per quanto riguarda le prove a cronometro, la Regina dei Giochi è la statunitense Kristin Armstrong, 43 anni e terza medaglia olimpica consecutiva nelle prove individuali contro il tempo. Le parole non bastano a descrivere la sua grandezza, un tris olimpico è una impresa riuscita a pochissimi fuoriclasse. Anche in questa prova dobbiamo elogiare la nostra Elisa Longo Borghini, quinta a 25” dalle specialiste delle lancette.

Il Re del Tempo è invece l’immenso Fabian Cancellara, 35 anni, che bissa il suo oro a cronometro di Pechino 2008. In parziale credito con la Dea bendata, che in questa stagione lo ha privato della gioia di vincere una Classica del Nord alla quale tanto teneva, “Spartacus” si congederà a fine anno con questo oro olimpico che gli garantisce l’immortalità sportiva, coronamento di una carriera a dir poco eccezionale. Standing ovation.

L’organizzazione
Luci e ombre. Non impeccabile nella messa in sicurezza dei tracciati, non impeccabile nella prontezza dei soccorsi alla sfortunatissima Annemiek van Vleuten, assistita dopo quasi 2’ dalla sua caduta, non impeccabile nella copertura televisiva, con riprese mobili effettuate senza la necessaria preparazione degli operatori, spesso fuori posizione o lontani dal clou dell’azione. Poche e insufficienti anche le telecamere fisse lungo i percorsi, sia nella prova in linea sia in quella a cronometro. Regia sicuramente inesperta. E non ci esprimiamo sulle infrastrutture, alcune neppure terminate in tempo per l’apertura ufficiale dei Giochi. Ennesima dimostrazione di come l’intreccio tra politica e affari economici prevalga sullo sport.


Articolo a cura di Roberto Chiappa

2 commenti

  1. con una certa fortuna (secondo me) gli incidenti non hanno prodotto conseguenze più gravi, così possiamo dire (credo) che le 4 gare su strada sono state tutte avvincenti.
    due rimpianti, dal mio punto di vista:
    nella gara in linea maschile, purtroppo è mancato il contributo di Diego Rosa.
    ripensando, ad esempio, alla Milano-Torino e al Giro di Lombardia 2015, chissà se la discesa finale si sarebbe svolta con lo stesso scenario.
    nella crono maschile, visto com’è andata, forse Nibali avrebbe potuto fare una prestazione di grande rilievo.

    • Roberto Chiappa

      Ciao Natale,
      il capitano della squadra era Vincenzo Nibali, era lui l’uomo che avrebbe dovuto lottare per il successo. In seconda battuta Fabio Aru, ma solo se Nibali gli avesse lasciato via libera. Gli altri atleti italiani avevano il ruolo di gregari, e secondo me si sono comportati benissimo.
      Diego Rosa non si è visto nelle battute finali, ma ha lavorato all’oscuro nella parte centrale, il suo contributo è stato comunque molto importante.
      Nella fuga iniziale c’era il nostro Ale De Marchi, poi è salito alla ribalta Damiano Caruso, che ha un po’ oscurato ciò che ha fatto Diego Rosa.
      Fabio Aru e Vincenzo Nibali hanno prodotto il forcing finale, che purtroppo non si è concretizzato come avremmo voluto.

      Per la crono individuale, se Nibali fosse stato in condizione lo avremmo visto quasi sicuramente molto vicino a Froome e Dumoulin, mentre Cancellara era su un altro pianeta.

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