Tour de France, Froome davanti e dietro tutti quanti

Al di là dei semplici risultati, andiamo a tracciare un bilancio della 103esima edizione della “Grande Boucle”, con i protagonisti, le conferme, le delusioni e i rimandati ad altro appello.


Chris Froome (Team Sky)
Il miglior Froome di sempre, punto e basta. Per gli altri, le briciole. E così “slim” Froome vince il suo terzo Tour de France, il secondo consecutivo, impresa che non riusciva ad alcuno dal 2010 (Alberto Contador, 2009 e 2010, quest’ultimo cancellato per la vicenda del cluenbuterolo) o dal 2005 (Lance Armstrong 1999-2005, sette titoli consecutivi poi revocati) o addirittura dal 1995 (Miguel Indurain, cinque titoli consecutivi dal 1991 al 1995). L’avevamo già visto con la gamba scintillante al Giro del Delfinato, da lui autorevolmente conquistato, come nel 2013 e 2015, quando anche allora inanellò la doppietta Delfinato-Boucle. Quest’anno però lo strapotere del keniano bianco è stato quasi imbarazzante, nonostante durante l’ottava tappa si sia lasciato andare a un gesto di nervosismo, un pugno sferrato a un tifoso troppo vicino che, a suo dire, gli impediva di esercitare una corretta azione in sella. Pugno che l’UCI ha sanzionato con una ridicola multarella di 200 franchi svizzeri, praticamente metà della paga oraria del keniano bianco.

La sicurezza psicologica dimostrata da Froome è stata costruita su uno squadrone fenomenale, con 8 gregari degni di un “dream team”: Sergio Henao, Vasil Kiryienka, Mikel Landa, Mikel Nieve, Wout Poels, Luke Rowe, Ian Stannard e Geraint Thomas, tutti giunti indenni a Parigi. E questo la dice lunga sulla preparazione dell’intera compagine Sky per centrare l’obiettivo della Maglia Gialla per il proprio capitano. Maglia che Froome ha iniziato a indossare al termine dell’ottava tappa, da lui vinta sul traguardo di Bagnères-de-Luchon, mantenuta nella decima, quando ha duellato in volata a Revel con Peter Sagan, ribadita nella vittoriosa cronoscalata di Megève alla 18esima. Nemmeno la caduta della 19esima frazione, nel corso dell’ultima discesa resa viscida dalla pioggia, riusciva a scalfirne il fisico e intaccarne l’animo. Froome si rialzava, prendeva la bici di Geraint Thomas e concludeva la frazione staccato appena di 36” da Romain Bardet, vincitore di giornata.

Quanto può avere influito sul rendimento di Froome l’avere una squadra granitica come questa Sky, capace di accompagnare il keniano bianco fin sotto lo striscione d’arrivo con quattro o cinque uomini almeno? Tanto, sicuramente un buon 25%. Basti pensare all’episodio della sua scivolata nella 19esima tappa, se non avesse avuto Geraint Thomas al proprio fianco, Froome avrebbe perso molto più dei 36” finali.

Che dire poi dell’indomita volontà di Froome di raggiungere l’obiettivo anche senza bicicletta, quando sulle rampe del Ventoux una moto gli aveva danneggiato la sua Pinarello e lui decideva di proseguire correndo fino a quando l’assistenza neutrale gli dava una bici di scorta. Quanti avrebbero preferito attendere l’arrivo dell’ammiraglia? Lui no, aveva in mente solo il traguardo, la costante ricerca di aumentare il proprio vantaggio in classifica. Una resilienza ineguagliabile.

La sensazione che il primo posto del Tour fosse stato assegnato si è avuta proprio a Bagnères-de-Luchon, tappa N.8, quando Froome ha comandato la gara dall’alto di una invidiabile condizione atletica e di una inattaccabile superiorità psicologica, che gli ha permesso di attaccare nella discesa del Peyresourde tenendo una posizione “a uovo” sul manubrio, seduto sul trave orizzontale e continuando a pedalare per guadagnare terreno sugli avversari. Una manovra abbastanza pericolosa e fortemente sconsigliabile in ambiti diversi dalle competizioni chiuse al traffico. Ma finché l’UCI non metterà al bando certe rischiose posture discesistiche, non possiamo far altro che accettarle, pur non stancandoci di stigmatizzarle.

Classifica Generale

1) Christopher Froome (GBr) Team Sky
2) Romain Bardet (Fra) AG2R La Mondiale
3) Nairo Quintana (Col) Movistar Team
4) Adam Yates (GBr) Orica-BikeExchange
5) Richie Porte (Aus) BMC Racing Team
6) Alejandro Valverde (Spa) Movistar Team
7) Joaquim Rodriguez (Spa) Team Katusha
8) Louis Meintjes (RSA) Lampre-Merida
9) Daniel Martin (Irl) Etixx-Quick Step
10) Roman Kreuziger (Cze) Tinkoff Team
11) Bauke Mollema (Ned) Trek-Segafredo
12) Sergio Henao (Col) Team Sky
13) Fabio Aru (Ita) Astana Pro Team
14) Sébastien Reichenbach (Swi) FDJ
15) Geraint Thomas (GBr) Team Sky
16) Pierre Rolland (Fra) Cannondale-Drapac
17) Mikel Nieve (Spa) Team Sky
18) Stef Clement (Ned) IAM Cycling
19) Jarlinson Pantano (Col) IAM Cycling
20) Alexis Vuillermoz (Fra) AG2R La Mondiale
89:04:48
00:04:05
00:04:21
00:04:42
00:05:17
00:06:16
00:06:58
st
00:07:04
00:07:11
00:13:13
00:18:51
00:19:20
00:24:59
00:28:31
00:30:42
00:38:30
00:38:57
00:38:59
00:42:28

Romain Bardet (AG2R La Mondiale)
Lo avevamo pronosticato come uno dei possibili outsider per il podio, in caso di defaillance di qualcuno dei “magnifici tre” (Contador, Froome, Quintana) e il francese non ha tradito le attese. Un Tour in crescendo, il suo, con il quinto posto conquistato progressivamente prima dell’ultima settimana sulle Alpi, quando ha dominato nettamente la 19esima tappa, con arrivo in salita a Saint-Gervais Mont Blanc. In quella occasione Bardet ha dato prova di gran maestria sulle viscide discese da Combloux verso Domancy, per poi involarsi solitario sull’ultima ascesa. Per lui un secondo posto di grande spessore nella Classifica Generale, preceduto soltanto da un imbattibile Chris Froome.

Peter Sagan (Team Tinkoff)
Le straordinarie qualità di “Terminator” Sagan gli permettono di essere veloce quanto uno sprinter, implacabile come un finisseur senza perdere troppo terreno in salita dagli scalatori. Un atleta completo, fenomeno a tutto tondo, dentro e fuori dai tracciati di gara. Con un bagaglio del genere, è sufficiente un minimo di regolarità nel rendimento per aggiudicarsi la classifica a punti. Su 105 tappe disputate in carriera al Tour, Sagan si è piazzato 51 volte nei primi 10, vincendo 7 tappe (3 quest’anno). Bravissimo anche tatticamente nel lanciarsi alla conquista dei traguardi volanti. Per lui si tratta della quinta Maglia Verde consecutiva al Tour, a una sola distanza da Erik Zabel, che ne vinse 6 tra il 1996 e il 2001. E quest’anno, per la prima volta, Sagan è riuscito anche a indossare la Maglia Gialla per tre giorni. Destinato a scrivere nuovi record.

Rafal Majka (Team Tinkoff)
Dimessi i panni dello scudiero per il suo capitano Contador, ritiratosi al termine dell’ottava tappa, il campione polacco si è lanciato alla conquista della Maglia a Pois, che incorona il re degli scalatori, figura sempre molto stimata al Tour. In suo aiuto tutta la Tinkoff, Sagan incluso. L’impresa è così giunta positivamente in porto, e patron Oleg Tinkov, rammaricato per non essere riuscito a competere per la Maglia Gialla con Alberto Contador, può rallegrarsi non solo con la Maglia Verde di Peter Sagan, ma anche con questa a Pois di Rafal Majka, che bissa così il proprio successo del 2014.

Adam Yates (Team Orica-BikeExchange)
Vincitore della Maglia Bianca riservata al miglior giovane, il quasi 24enne inglese, al suo secondo Tour de France, ha tenuto una condotta di gara costante e regolare, spesso a ridosso dei primi di giornata. A lungo terzo in classifica, ha perso una posizione a causa dell’assolo di Romain Bardet a Saint-Gervais Mont Blanc. L’anno scorso, al suo esordio alla Boucle, concluse al 50° posto. L’esperienza e le sue qualità di buon scalatore e discreto cronoman lo hanno proiettato nei quartieri alti della Generale, e non è difficile scommettere che l’anno prossimo potrà infastidire qualche “big” alla ricerca di una vittoria di tappa o addirittura di un posto sul podio.

Mark Cavendish (Team Dimension Data)
Ritrovato protagonista alla Grande Boucle, dove ha regalato al proprio team la soddisfazione della prima maglia gialla di una squadra africana, “Cannonball” ha sciorinato una condizione molto simile a quella del 2012, se non addirittura migliore. Per lui un poker di vittorie che lo colloca a quota 30 centri, secondo nella classifica dei vincitori di tappa al Tour, con mirino puntato su Eddy Merckx a quota 34. Peccato che “Manxman” abbia voluto abbandonare alla vigilia della 17esima tappa, per iniziare la sua preparazione ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. Ma vederlo nuovamente così esplosivo è stato un vero spettacolo.

Tom Dumoulin (Team Giant-Alpecin)
Che la “Farfalla di Maastricht”, come è soprannominato l’olandese, fosse forte nelle prove contro il tempo lo testimonia anche la maglia di campione nazionale di specialità che indossa. Dominatore della cronometro vallonata di 37 km della 13esima tappa, da Bourg-Saint-Andéol a Pont-d’Arc, dove ha rifilato 1’03” a Chris Froome, l’olandese ha però stupito tutti attaccando e vincendo in salita ad Andorra Arcalis, tappa N.9, dopo una fuga solitaria di 12 km, conclusa sotto la pioggia. Peccato che la sua caduta nel corso della 19esima tappa, nella quale ha subito la frattura composta del radio sinistro, lo abbia costretto al ritiro. Pur continuando a professarsi passista da pianura piuttosto che scalatore, dopo le sue discrete performance sulla prime morbide salite del Giro d’Italia, Dumoulin ha dimostrato qui al Tour una rimarchevole crescita proprio sulle pendenze, avvalorata anche dal secondo posto nella cronoscalata di 17 km da Sallanches a Megève, dove si è inchinato solo a un superlativo Chris Froome. Per essere considerato tra i protagonisti dei Grandi Giri, Dumoulin deve solo affinare la propria resistenza sulle salite più impervie, che gli risultano ancora avverse. La direzione da lui intrapresa, però, sembra essere quella giusta.

Ilnur Zakarin (Team Katusha)
Dopo la brutta caduta al Giro d’Italia, quando nella discesa del Colle dell’Agnello era finito nel greto di un torrente, fratturandosi la clavicola, l’allampanato 26enne russo (186 cm, 65 kg) non si è scoraggiato, e dieci giorni dopo l’intervento è tornato pedalare, con l’intenzione di fare bene al Tour de France. La sua volontà è stata premiata, e lasciato libero dai vincoli di gregariato in favore di Joaquim “Purito” Rodriguez, ha conquistato la 17esima tappa con l’inedito arrivo alpino in salita al Lac d’Emosson, in Svizzera, dopo una cavalcata solitaria di 6 km. Per Zakarin si è trattato della prima vittoria di tappa al Tour, la sesta vittoria assoluta in una carriera che vede anche un successo di tappa al Giro d’Italia 2015, a Imola. A proprio agio in salita e bravo anche nelle cronometro, Zakarin deve migliorare moltissimo in discesa, il suo tallone d’Achille, e nei tratti tecnici con fondo bagnato, dove mostra ancora troppe incertezze. Per il resto, è un ragazzo molto interessante e saremo lieti di ritrovarlo ancora protagonista di qualche Grande Giro.

Jarlinson Pantano (IAM Cycling)
Grande protagonista della 15esima tappa, una delle più dure con i suoi 160 km e 4.000 metri di dislivello, nella quale il 27enne colombiano è andato in fuga rimontando prima Tom Dumoulin, poi Rafal Majka, e andando a vincere in solitaria sul traguardo di Culoz, regalando alla IAM Cycling la prima vittoria in un Tour de France. Ottimo scalatore, come tutti gli “escarabajos” colombiani, ma forse ancor più bravo discesista, soprattutto sul bagnato, farà gola a molte squadre, dal momento che a fine anno il suo team chiuderà i battenti.

Richie Porte (BMC)
In casa BMC non c’era un unico capitano ma due, l’americano Tejay Van Garderen e il tasmaniano Richie Porte. Smarritosi ben presto Van Garderen, Porte si è caricato sulle spalle la responsabilità di tenere alti i colori della squadra elvetica. Contrariamente al passato, quando il tasmaniano era solito calare il proprio rendimento nella terza settimana, quest’anno ha tenuto benino per tutti i 21 giorni di gara, anche se la sfortuna iniziale e qualche sbavatura tattica non gli hanno consentito di raggiungere il podio, né di agguantare una vittoria di tappa. Il suo quinto posto finale, comunque, non è da buttare via. Difficile però vederlo vincente in futuro in un Grande Giro.

Alejandro Valverde (Movistar Team)
Gregario di lusso di Nairo Quintana, il murciano non ha tradito le aspettative. Impeccabile e consistente in ogni situazione, ha sempre dato manforte a ogni attacco orchestrato, anche quando il suo capitano non sembrava in condizione. Una Grande Boucle disputata cantando e portando la croce, con un 6° posto finale in classifica che sarebbe stato certamente migliore senza i ripetuti sacrifici in nome della squadra. Che corridore!

Joaquim “Purito” Rodriguez (Team Katusha)
Il 37enne catalano, amatissimo dal pubblico per la sua indomita generosità in gara, a fine anno appenderà la bici al chiodo, ritiro annunciato durante la giornata di riposo ad Andorra Arcalis, dove “Purito” risiede. Ha corso questo Tour alla costante ricerca di una vittoria di tappa, sfuggitagli per soli 23” ad opera di un imprendibile Romain Bardet in quel di Saint-Gervais Mont Blanc. “Purito” non deve però rammaricarsi di tutto ciò e del suo 7° posto finale, perché resterà per l’eternità nel cuore di tutti i tifosi innamorati del ciclismo più vero e genuino da lui espresso.

Louis Meintjes (Team Lampre-Merida)
Il 24enne sudafricano, alla sua seconda partecipazione al Tour, è uno dei giovani più interessanti che abbiamo visto quest’anno. Sempre nel pacchetto dei migliori, ha concluso all’8° posto della Generale, secondo in quella della Maglia Bianca, a un nonnulla dal vincitore Adam Yates. Siamo comunque certi che Meintjes farà ancora parlare molto bene di sé.

Bauke Mollema (Team Trek-Segafredo)
Se il Tour fosse durato 18 tappe, l’olandese sarebbe giunto secondo. La sua caduta nella 19esima frazione, nella viscida discesa verso Domancy, e lo spietato forcing di Romain Bardet nella medesima tappa lo hanno fatto rimbalzare ai margini della “top 10”. L’olandese ha però messo in campo tutto l’impegno possibile, e senza la caduta che ne ha condizionato la pedalata sarebbe probabilmente rimasto nei dintorni del 5° posto. L’anno venturo avrà in squadra un certo Alberto Contador, dal quale potrà imparare moltissimo su come affrontare e gestire un Tour nelle posizioni che contano.

Fabio Aru (Team Astana)
Il “Cavaliere dei 4 Mori” era all’esordio alla Boucle. Da lui non ci si poteva attendere certo la conquista del podio, visto lo schieramento di forze in campo. Il sardo, magistralmente sorretto da un Vincenzo Nibali formato “gregario d’oro”, si è arrangiato alla bell’e meglio nelle prime due settimane, cercando di migliorare la propria condizione, per poi scatenarsi al primo sentore dell’aria alpina. La sua crono di Megève, tutta cuore e grinta, conclusa alle spalle del “marziano” Froome e dello specialista Dumoulin, rimarrà impressa a lungo nella mente dei tifosi e anche degli avversari. Bravo a rimanere con i migliori durante l’ultima difficile settimana di corsa, ma in grande sofferenza sull’ultima salita del Col de Joux Plane nella 20esima tappa, sotto la pioggia, ha dimostrato qualche lacuna di gestione delle proprie risorse ma anche un buon potenziale, che va affinato per una gara dura e tosta come è il Tour de France dove, ne siamo certi, il tamburino sardo sarà tra i protagonisti del futuro.

Vincenzo Nibali (Team Astana)
Lo “Squalo dello Stretto” aveva dichiarato di partecipare al Tour de France per aiutare il team-mate Fabio Aru, e al tempo stesso mantenere una condizione atletica tale da affrontare il periodo di preparazione in vista delle Olimpiadi di Rio. E’ andato tutto secondo i piani del messinese, con qualche giornata vissuta forse un po’ troppo svogliatamente e altre all’arrembaggio alla ricerca di una vittoria di tappa per lui e per la squadra. Vittoria che non è arrivata per un soffio (3° posto a Morzine nella 20esima tappa), ma nulla si può rimproverare all’Astana, unica formazione che ha sempre tentato di rompere i narcotizzanti equilibri dettati dal Team Sky.

Alberto Contador (Team Tinkoff)
Il “pistolero” madrileno può solo recriminare contro la sfortuna. Coinvolto suo malgrado e senza colpe in una caduta dopo una quarantina di km dal via della tappa inaugurale, ha proseguito ammaccatissimo per altre 7 giornate prima di ritirarsi, stringendo i denti ma non riuscendo naturalmente a esprimersi ai suoi livelli abituali. Peccato non averlo potuto ammirare in questo Tour, anche se forse non avrebbe potuto contrastare lo strapotere di Froome e della Sky. Ci auguriamo di ritrovarlo nel 2017, quando dovrebbe indossare i colori del Team Trek.

Nairo Quintana (Movistar Team)
Il “condor” colombiano, grande atteso alla Boucle, non è mai entrato nella cerchia dei protagonisti. Pare fosse afflitto da un’allergia che ne ha pesantemente condizionato il rendimento. In quale misura, non lo sappiamo, ma il suo 3° posto finale è frutto più del lavoro della squadra (Valverde in primis) e della fortuna (oltre che della sfortuna altrui) che non dei propri mezzi. Lontanissimo dal campione ammirato al Giro 2014, in questo Tour ha totalmente deluso.

Marcel Kittel (Team Etixx-Quick Step) e André Greipel (Team Lotto Soudal)
I due panzer tedeschi, che avevano monopolizzato le volate al Giro d’Italia, qui al Tour hanno recitato il ruolo di semplici comparse. Kittel può vantare un successo al fotofinish a Limoges nella quarta frazione, per il resto ha incamerato solo ceffoni, ora da Cavendish ora da Sagan, mentre a Parigi è stato estromesso da due forature. Quanto a Greipel, non pervenuto per le prime 20 tappe, può consolarsi con la vittoria sul traguardo degli Champs Elysées, anche se quest’anno non ha raggiunto le 4 vittorie del 2015 alla Boucle.

Christian Prudhomme (ASO, direttore di corsa)
Solitamente molto preparata a fronteggiare ogni avversità, forte di una esperienza ormai trentennale, l’organizzazione ASO ha denunciato quest’anno qualche scricchiolio, dimostrandosi incapace di mantenere una precisa direzione, ma lasciandosi piuttosto influenzare dal succedersi degli eventi o dalle decisioni di terze parti (UCI su tutte).

Il pugno che Chris Froome ha rifilato al tifoso invadente è sostanzialmente identico a quello che Wladimir Belli diede a uno spettatore durante il Giro d’Italia 2001. La sanzione però si è rivelata ben diversa. Belli venne immediatamente squalificato, a Froome è stata comminata una multa dall’importo insignificante, 200 SFR. Due misure differenti, a seconda delle circostanze e soprattutto dell’imputato.

L’episodio che però ha gettato molte ombre sulle capacità gestionali di eventi straordinari in gara è stato il groviglio “moto+bici+atleti” sulla salita del Mont Ventoux. La numerosissima folla assiepata a boro strada rende difficilissimo il transito delle pesanti moto addette alla riprese. Una di queste si blocca di colpo, Richie Porte e Bauke Mollema la tamponano, Froome fa lo stesso e la moto che lo seguiva gli calpesta la bici, rendendola inservibile.

La gara andava neutralizzata in quel momento, perché non erano più garantite le condizioni di omogeneità tra tutti i concorrenti. Invece ASO ha lasciato correre, aspettando l’epilogo (tappa a Thomas De Gendt), salvo poi effettuare una stucchevole retromarcia neutralizzando i tempi prima di quell’accadimento, scontentando tutti.

La causa di tutto è stata la folla straripante, non c’è dubbio. Con un numero inferiore di persone, non sarebbe successo nulla. Cosa fare per evitare il ripetersi di un simile episodio? Certamente non si può transennare tutta la salita. E nemmeno si può regolare l’accesso al pubblico, libero di posizionarsi lungo le strade. Dal momento che i problemi maggiori si hanno sulle salite strette e tortuose, il nostro suggerimento è quello di utilizzare veicoli elettrici apripista (moto o bici), che precedano le moto di ripresa video e i corridori, allargando le ali di folla. Basterebbero due moto o bici elettriche, silenziose e soprattutto non inquinanti, guidate da gendarmi o personale addetto, per evitare i “colli di bottiglia” che hanno causato tutto quanto visto sul Ventoux.

– Sito web ufficiale del Tour de France


Articolo a cura di Roberto Chiappa

Foto: © AFP – © Getty Images Sport – © Bettini Photo – © TDW Sport

2 commenti

  1. buongiorno Roberto.

    alcune considerazioni, da spettatore e veramente modesto pedalatore.
    FROOME: certamente il più forte e preparato. probabilmente avrebbe vinto anche senza la scandalosa decisione della giuria sul Ventoux e senza mollare liberamente pugni al costo di 200 franchi cadauno.
    SKY: liberi di gestire la squadra come meglio credono, di impostare la stagione (di fatto) solo sul Tour, di convincere professionisti di altissimo livello a rinunciare ad ambizioni personali a vantaggio della squadra, ma la UCI dovrebbe contrastare tale strategia, introducendo regole ad hoc.
    nè contro Sky, nè per far piacere a me (per dire), ma perchè, se in futuro le gare fossero tutte come il Tour di quest’anno, secondo me il ciclismo professionistico ci rimetterebbe parecchio.
    QUINTANA: se veramente il suo rendimento deludente è stato causato da problemi di salute, il risultato finale mi sembra notevole.
    VALVERDE: peccato che proprio quest’anno non abbia potuto correre da leader. l’avrà pensato anche lui, probabilmente. attenzione: sarà anche alle Olimpiadi, penso con grandi ambizioni.
    NIBALI: pensando alle prestazioni di Valverde al Giro e al Tour, chissà se è stata una bella idea buttar via così il Tour.
    MEINTJES e YATES: mentre in Italia si sprecavano aggettivi e lodi per le “gesta” di Aru, questi due hanno ottenuto un risultato superlativo. entrambi (credo) senza la collaborazione di una squadra attrezzata.
    a volte le cose poi vanno diversamente, ma io credo che almeno uno dei due potrebbe raggiungere livelli di grande eccellenza, nei prossimi anni.

    saluti

    • Roberto Chiappa

      Ciao Natale,
      ti ringraziamo per le tue considerazioni, assolutamente fondate e obiettivamente razionali.
      Il Team Sky può fare il bello e il cattivo tempo, l’UCI non batte ciglio finchè rimangono entro i confini dei regolamenti. Bisognerebbe cambiarli in misura tale da aumentare il taso di spettacolarità, magari con delle prove speciali cronometrate anche in discesa, a squadre o anche limitare a 3-4 uomini per squadra. Solo che poi si rischia di traslare il ciclismo professionistico verso qualcosa di simile a “Giochi senza Frontiere”…
      Froome quest’anno era una spanna sopra a tutti gli altri, se poi gli aggiungiamo un team granitico sempre pronto ad aiutarlo, il risultato non può che essere la vittoria.

      Nairo Quintana è arrivato terzo perchè non c’era nessuno di quelli dietro che sia riuscito a fare meglio di lui. La storia dell’allergia è sicuramente vera, ma è saltata fuori quando il colombiano ha iniziato a prendere paga. Quanto può avere influito sul suo rendimento ?? Il 10% ?? Il 15% ?? Oppure molto di più ?? Non lo sapremo mai. Fatto sta che ogni anno il “condor” arriva al Tour con grandi ambizioni e se ne torna a casa con un pugno di mosche.

      Nibali ha scelto il Tour per prepararsi alle Olimpiadi, snobbando palesemente alcune tappe, dove ha pedalato da cicloturista. La cosa non gli fa moltissimo onore, però non si può nemmeno biasimarlo. E’ l’unico della Astana che ha tentato di vincere una tappa.

      Fabio Aru, secondo noi, non ha messo nelle gambe abbastanza giorni di gara prima del Tour. Avrebbe dovuto gareggiare un pochino di più per avere il ritmo e la brillantezza per sostenere le fatiche della Grande Boucle. Si possono fare tutti gli allenamenti possibili, ma l’intensità di gara non è replicabile in alcun modo.

      Di Meintjes e Yates non si può che parlare bene. Yates è il primo inglese ad avere conquistato la Maglia Bianca al Tour, e se pensiamo che è solo alla sua seconda partecipazione, possiamo credere che l’anno prossimo vorrà tentare l’assalto al podio.
      Alla prossima !!

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