Tour de France, grand boucle o grand boue?

Torniamo a mente fredda sulla squalifica comminata a Peter Sagan dopo la quarta tappa del Tour de France, che al pari di altre competizioni ha avuto in passato episodi agonistici più o meno scorretti, più o meno sanzionati. Come al solito, pesi e misure differenti. E anche in quest’ultima occasione, lo sport ne esce sconfitto.


Tour de France 2017, quarta tappa, 207.5 km da Mondorf-les-Bains a Vittel, un affare per velocisti. Sul traguardo, primo Arnaud Démare (FDJ) davanti a Peter Sagan (Bora-Hansgrohe) e Alexander Kristoff (Team Katusha-Alpecin). Qualche attimo prima, Peter Sagan e Mark Cavendish (Team Dimension Data) entrano in collisione, “manxman” ha la peggio e rovina a terra, John Degenkolb (Trek-Segafredo) e Ben Swift (UAE TeamEmirates) non riescono a evitare la bici di Cav e cadono anch’essi.

La giuria revisiona il filmato dell’arrivo. Dopo mezz’ora, il primo verdetto contro Peter Sagan: 30” di penalità e 80 punti in meno in classifica. Non basta. Mano pesante. In serata, la comunicazione della squalifica di Sagan. Addio al Tour, e alla possibile sesta maglia verde consecutiva, che avrebbe permesso al bi-campione del Mondo di eguagliare il record di Erik Zabel. Fuori anche Cavendish, scapola fratturata. Peccato, per entrambi.


Peter Sagan con i giornalisti, prima di abbandonare il Tour de France

Il giudizio è insindacabile, nessuno può presentare ricorso, e nemmeno reclamo in prima istanza. Tutti zitti, insomma, prima e dopo. Alla giustizia provvedono i tanti “Re Salomone” che, forse, non hanno mai impugnato un manubrio in gruppo a 70 km/h.

L’episodio che ha portato alla squalifica di Sagan è piuttosto diffuso nelle volate. In questa occasione lo spazio per passare tra Sagan e le transenne era veramente esiguo, e Cavendish ne ha fatto le spese. Diversamente, si tratta di normalissimi contatti che non pregiudicano l’equilibrio dinamico dell’insieme ciclista+bici. Secondo noi, Cav rischia molto nel passare in un pertugio strettissimo, urta il fianco di Sagan e si sbilancia. Sagan allarga il gomito destro e la gamba sinistra per mantenere l’equilibrio, gesto istintivo. In quell’istante, Cavendish è già in fase di caduta. Poi, il resto.

Non entriamo nel merito della sentenza emessa, ci sarà sempre chi la ritiene corretta e chi eccessiva. Il problema non sta nella dimensione del giudizio, ma nella sua uniformità, nella oggettività di trattamento di episodi simili. Nel corso del Tour de France 2013, Cavendish urtò più o meno volontariamente la spalla di Tom Veelers, facendolo cadere. Non vi furono provvedimenti.

E ancora, Tour de France 2014, Cavendish su Simon Gerrans. Anche qui, per i giudici, tutto regolare.

Dunque, cosa dire della squalifica di Peter Sagan? Sicuramente ha perso credibilità chi ha la pretesa di volere amministrare questo sport, l’unico che offra ancora un contatto diretto tra atleti e pubblico. In nome della sicurezza in gara, si rischia di creare un tessuto sempre più intricato di restrizioni e divieti, andando a soffocare in tal modo ciò che è ancora consentito dal gesto atletico. Se ci si appella alla sicurezza, perché nella curva in cui è caduto Alejandro Valverde (prima tappa a cronometro individuale) c’erano solo transenne metalliche non protette? Si vuole stigmatizzare il comportamento di Sagan come episodio antisportivo? Giusto farlo, ma in misura adeguata e oggettivamente stabilita a priori da un regolamento che, ad oggi, è ancora troppo fumoso e lasciato all’interpretazione di tanti “soloni”.


Articolo a cura di Roberto Chiappa

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