Olimpiadi, gran finale con la MTB Cross Country

La svedese Jenny Rissveds e l’elvetico Nino Schurter, entrambi atleti del Team Scott Odlo, si sono aggiudicati gli ori del Cross Country. La Rissveds è la più giovane campionessa olimpica di specialità, Schurter completa la sua parure di medaglie dopo il bronzo di Pechino 2008 e l’argento di Londra 2012. Il bilancio di quanto si è visto a Rio.


Deodoro Olympic Bike Park, circuito di 4.85 km ricavato sulle pendici di una cava, realizzato spostando migliaia di metri cubi di terra per modellare salite e discese, con molti ostacoli artificiali a ravvivare l’azione. Un bel percorso, una miscela veloce e tecnica quanto basta, che ha impegnato tutti i concorrenti fino all’ultimo metro. Allestito appositamente per le Olimpiadi, rimarrà permanente, a disposizione degli appassionati praticanti.

Le donne sono state le prime ad aprire le ostilità, sabato 20 agosto, sulla distanza di 6 tornate più il giro di lancio. Il fondo asciutto e polveroso non ha impensierito alcuna di loro sui vari ostacoli presenti. Non riportiamo la cronaca, ormai nota e acquisita, ma ci sbilanciamo su qualche valutazione di quanto osservato.

Jenny Rissveds (S) era indicata tra le favorite, anche se non in termini assoluti. Per via della sua giovane età e perché era all’esordio in una prova olimpica. Un palmares, il suo, di tutto rispetto, con il Mondiale Under23 conquistato a giugno e l’argento agli Europei U23 a maggio, il bronzo ai Mondiali U23 dell’anno scorso, l’oro agli Europei 2013 nel Cross country Eliminator e l’argento agli Europei 2013 nel Cross country, l’oro ai Mondiali Junior 2012.

Qui a Rio ha controllato la gara con l’esperienza di una veterana e la freschezza atletica della 22enne qual è. Lasciate sfogare le elvetiche Jolanda Neff, prima, e Linda Indergand, poi, ha allungato portandosi appresso una volitiva Maja Wloszczkowska (PL). Ma a differenza della polacca, la cui pedalata negli ultimi due giri si è fatta legnosa, la Rissveds ha sempre mantenuto una rotondità e una potenza che le hanno permesso di involarsi solitaria all’inizio dell’ultimo giro.

A nostro parere, in questo risultato conta moltissimo la preparazione atletica svolta all’interno della sua squadra, il Team Scott Odlo, dove milita anche il vincitore tra i men, Nino Schurter (CH). Difficilmente si assiste a una prova femminile in cui emerge una differenza così netta sul ritmo nelle battute finale di gara. Jenny Rissveds ha il DNA della fuoriclasse, e non lo scopriamo certo oggi. E’ diventata la più giovane vincitrice olimpica nella specialità Cross Country e, se lo vorrà, potrà dominare la scena mondiale almeno per un altro decennio.

Molto buona la prova della polacca Maja Wloszczkowska, l’ultima a desistere di fronte alla veemenza della Rissveds. Secondo argento olimpico per la graziosa Maja, dopo quello di Pechino 2008. I suoi attuali 32 anni le consentono di guardare con un cauto ottimismo alla convocazione per le prossime Olimpiadi, Tokyo 2020. Intanto, la sua fulgida carriera continua, e il brutto infortunio occorsole nel luglio 2012, mentre era a Livigno per preparare i Giochi Olimpici di Londra (frattura del metatarso e del tallone del piede destro), è un ricordo ormai lontano.

Una delusa Jolanda Neff (CH), data per tutti come la principale candidata al successo finale, ha concluso sesta. Una fiammata nel primo giro, poi gambe molli, tante rpm ma poca forza impressa sui pedali. Una gara del gambero, la sua, perché le avversarie spingevano molto di più. Ha forse pagato la lunga stagione, condivisa anche con la specialissima stradale (è giunta nona alla prova olimpica in linea). Fatto sta che il rendimento della bionda elvetica è finora stato abbastanza discontinuo, e negli appuntamenti che contavano ha spesso fallito. E’ comunque ancora giovane, 23 anni, e ha tutto il tempo per rifarsi.

La Campionessa Mondiale in carica per il Cross country femminile, la danese Annika Langvad, era attesa a una prova di spessore, benché la sua pedalata sia più consona a prove di distanza, quindi marathon, anziché agli asfissianti Cross country. Partita maluccio, poco prima di metà gara è incappata in una foratura che l’ha definitivamente relegata lontano dalla lotta per il podio. Il suo 11° posto finale non le rende giustizia, ma ad ogni modo la danese non aveva la gamba per impensierire il drappello di testa.

Quinta partecipazione olimpica per la norvegese Gunn-Rita Dahle e per la tedesca Sabine Spitz. Le quasi coetanee (42 anni la norvegese, 43 la tedesca) hanno terminato la loro prova rispettivamente al 10° e 19° posto, lottando con tutta la grinta possibile contro avversarie molto più giovani e aitanti. Due che hanno sempre dato il massimo, e che anche qui sono state applaudite per il loro impegno. Forse non le vedremo a Tokyo 2020, ma a Rio hanno scritto un’altra colorata pagina della loro memorabile carriera ciclistica.

Assieme a Svizzera, Ucraina, Francia, Germania e USA, il Canada schierava due atlete. E Catharine Pendrel ed Emily Batty hanno dato spettacolo, tentando un pur vano inseguimento alla battistrada svedese Rissveds. La Pendrel ha conquistato il bronzo, dolce conclusione della sua carriera. Emily Batty le è arrivata appena dietro, e forse con mezzo giro in più avrebbe anche superato la team-mate. Ad ogni modo, i Canada è la nazione che ha piazzato meglio le proprie concorrenti.

Grande delusione invece per la Francia. Pauline Ferrand-Prevot, che nel 2015 aveva fatto incetta di titoli mondiali (strada, MTB Cross country, ciclocross) ha dovuto ritirarsi per irreparabili problemi meccanici, quando però navigava oltre metà classifica. Perrine Clauzel è giunta invece 23esima a 12’08” dalla vincitrice.

Se la Francia piange, l’Italia non ride. Eva Lechner, reduce da un’annata agonistica mondiale piuttosto anonima, non è mai stata in gara, concludendo 18esima a 8’30”. Questa volta non le è riuscita nemmeno la partenza veloce, manovra che ha quasi sempre caratterizzato la prove della bolzanina, ed è stata anche rallentata da una caduta. La Federazione dovrebbe investire maggiormente nel settore femminile, e non solo in quello della MTB ma in generale. Tra le donne, infatti, è più facile mettersi in luce, perché c’è meno concorrenza rispetto al settore maschile. Nella MTB abbiamo qualche giovane interessante (le elite Lisa Rabensteiner e Serena Calvetti, le U23 Chiara Teocchi, Serena Tasca, Greta Seiwald, le junior Martina Berta e Marika Tovo). Basterebbe dar loro un maggior supporto in chiave internazionale per avere poi un ritorno in termini di risultati. Chi mai semina, mai raccoglie.


Il podio olimpico femminile

Ordine d’arrivo

1) Jenny Rissveds (Sweden)
2) Maja Wloszczowska (Poland)
3) Catharine Pendrel (Canada)
4) Emily Batty (Canada)
5) Katerina Nash (Czech Republic)
6) Jolanda Neff (Switzerland)
7) Lea Davison (United States of America)
8) Linda Indergand (Switzerland)
9) Yana Belomoina (Ukraine)
10) Gunn-Rita Dahle Flesjaa (Norway)
11) Annika Langvad (Denmark)
12) Helen Grobert (Germany)
13) Tanja Zakelj (Slovenia)
14) Chloe Woodruff (United States of America)
15) Anne Terpstra (Netherlands)
16) Daniela Campuzano (Mexico)
17) Irina Kalentyeva (Russian Federation)
18) Eva Lechner (Italy)
19) Sabine Spitz (Germany)
20) Raiza Goulao-Henrique (Brazil)
21) Githa Michiels (Belgium)
22) Iryna Popova (Ukraine)
23) Perrine Clauzel (France)
24) Ping Yao (People’s Republic of China)
LAP) Rebecca Henderson (Australia)
LAP) Michelle Vorster (Namibia)
LAP) Jovana Crnogorac (Serbia)
LAP) Francelina Cabral (Timor-Leste)
DNF) Pauline Ferrand Prevot (France)
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Domenica 21 agosto è stata la volta degli uomini, sfidatisi su 7 giri del percorso più iniziale tornata di lancio. La pioggia caduta copiosamente per tutta la notte aveva appesantito un po’ il percorso, rendendolo scivoloso in alcune sezioni e sui passaggi rocciosi più tecnici.

Passaggi tecnici che non hanno per nulla impensierito l’elvetico Nino Schuter, apparso sempre molto fluido per tutti i 90’ di gara. La sua pedalata rotonda, ficcante, non ha lasciato scampo agli avversari, e il cambio di ritmo impresso a meno di due giri dal termine è risultato letale anche per il suo immediato inseguitore, il ceco Jaroslav Kulhavy.

Il 30enne di Chur era il favoritissimo e non ha tradito le attese, andando a conquistare l’unica medaglia olimpica che mancava nella sua collezione, dopo il bronzo di Pechino 2008 e l’argento di Londra 2012. Fenomenale nella sua preparazione atletica (guardate il suo canale YouTube, oppure cercate sul nostro magazine gli articoli “Hunt for Glory”, corredati da interessanti delucidazioni), sempre impeccabile nelle scelte tecniche (ieri ha corso con pneumatici tubeless, mentre di solito sceglie i tubolari), pulitissimo nella guida, Schurter si trova nel pieno del proprio splendore agonistico, e per il momento non si vedono accenni di declino. Lo ritroveremo quasi certamente a Tokyo 2020.

Chi mastica un po’ amaro è il campione olimpico uscente, il ceco Jaroslav Kulhavy. L’argento è pur sempre una medaglia prestigiosa, ma la lezione subita sul campo ad opera di Schurter non è facile da digerire, soprattutto per lui che aveva puntato tutto su questi giochi olimpici. Il 31enne ceco dovrà trovare altri terreni sui quali imbastire la propria rivincita.

Carlos Coloma ha gioito per il bronzo strappato con le unghie e con i denti – e anche con i baffoni alla “messicana” – difendendosi dagli attacchi del francese Maxime Marotte, che lo ha insidiato fino all’ultima curva, desistendo poi sul rettilineo finale. Una medaglia di bronzo per la Spagna nel mountain biking dopo quella d’argento di Atene 2004 di José Antonio Hermida, a Rio per la sua quinta partecipazione olimpica consecutiva.

C’era molta curiosità per vedere all’opera il Campione del Mondo su strada, lo slovacco Peter Sagan, tornato alla MTB dopo il suo titolo Junior 2008 conquistato in Val di Sole. Privo di punti UCI per il ranking MTB, si è trovato a partire ultimo, con il pettorale N.50. Che fosse un autentico fenomeno, un po’ si sapeva e un po’ lo si immaginava. Ma superare all’esterno, a velocità supersonica, 47 concorrenti nello spazio di 300 metri, è roba mai vista e che mai, forse, vedremo più.

Un vero peccato che la sfortuna l’abbia tolto dalla lotta per le prime posizioni dopo il primo giro, quando una foratura anteriore lo ha costretto a pedalare per più di 2 km prima di raggiungere la zona box per il cambio ruota. Fino a qual momento, “Terminator” aveva dato spettacolo. Non molto fluido sulle gambe nei passaggi tecnici, ma incredibilmente potente dove occorreva pedalare e guidare di forza, Sagan ha stupito e forse anche impaurito tutti i suoi avversari per l’autorevolezza con cui stava conducendo la gara, in compagnia di Nino Schurter e del nostro Marco Aurelio Fontana. Altre due piccole forature lo affossavano definitivamente in classifica. Terminata la carriera su strada, Sagan potrà dedicarsi a tempo pieno alla mountain bike, dove nelle marathon e nelle gare a tappe farà certamente sfracelli.

Destino analogo a Sagan quello di Marco Aurelio Fontana, partito a razzo e subito in testa per quasi tutto il primo giro. Poi un sasso acuminato preso con l’anteriore, come lo slovacco, lo ha escluso dal gruppo dei protagonisti. E vi assicuriamo che pedalare per un paio di km con la gomma anteriore a terra è come spingere un autobus con il freno a mano tirato. Peccato, perché la condizione messa in mostra da “Fonzie” era davvero splendida. Forse non sarebbe riuscito a contendere l’oro a Schurter, che ieri stava su un altro pianeta, ma con Jaroslav Khulavy avrebbe anche potuto giocarsela, e certamente avrebbe fatto meglio di Carlos Coloma. Non lo sapremo mai, però Fontana non deve rimproverarsi nulla, in quel primo giro ha entusiasmato tutti noi italiani, e una porzione di medaglia va idealmente anche a lui. Grazie, Prorider FMA.


Luca Braidot (N.14) tallona Maxime Marotte

Italia che comunque ha potuto gioire anche per la performance di Luca Braidot, che pur non andando a medaglia ha comunque conseguito l’accesso nel giardino dell’Olimpo, al cospetto dei grandissimi di questa specialità. Partito ottavo, ha impiegato tutto il primo giro per riprendere il terzetto di testa, poi ha pagato lo sforzo e ha dovuto rallentare causa insorgere di crampi. Ma in seguito ha tenuto sempre un ritmo elevatissimo, e il suo settimo posto finale, davanti a un certo Julien Absalon, è una garanzia per il futuro della mountain bike azzurra. E non va dimenticato che il gemello Daniele è campione italiano, con un rendimento molto simile a quello di Luca. Due 25enni su cui puntare.

Elogi anche per Andrea Tiberi, rallentato da ben due forature, ma sempre volitivo e costante per tutte le sette tornate di gara. Dopo un inizio anno molto difficile, con una delicata operazione chirurgica che lo ha tenuto lontano dalla bici per 40 giorni, “Tibi” ha risalito caparbiamente la china, guadagnandosi la convocazione azzurra a Rio, dove lo abbiamo visto dare tutto ciò che aveva. Due forature, anche per lui, lo hanno condannato nel limbo, ma l’impegno profuso in tutta la gara gli vale un plauso da parte di tutti.

Forature che hanno pregiudicato al gara di molti, e non solo di Sagan, Fontana e Tiberi. L’israeliano Shlomi Haimy e il francese Victor Koretzky ne hanno fatto lo spese quando si trovavano nel pacchetto di testa, ma anche altri concorrenti più indietro sono incappati in questo sfortunato evento.

Chi non è stato vittima di forature, ma è apparso in condizione decisamente no, è il francese Julien Absalon, dato favorito per il podio. “Le roi”, che da qualche tempo fa coppia fissa con Pauline Ferrand-Prevot, non è mai apparso incisivo come in Coppa del Mondo, dove conduce l’attuale classifica. Lento e macchinoso nella pedalata, è partito male e non è mai riuscito a trovare il ritmo giusto, operando pochissimi sorpassi, tutti ininfluenti. Se a Londra 2012 è stato estromesso da una foratura, qui a Rio il bi-campione olimpico (Atene 2004 e Pechino 2008) può prendersela solo con sé stesso.


Il podio olimpico maschile

Ordine d’arrivo

1) Nino Schurter (Switzerland)
2) Jaroslav Kulhavy (Czech Republic)
3) Carlos Coloma Nicolas (Spain)
4) Maxime Marotte (France)
5) Jhonnatan Botero Villegas (Colombia)
6) Mathias Flückiger (Switzerland)
7) Luca Braidot (Italy)
8) Julien Absalon (France)
9) David Valero Serrano (Spain)
10) Victor Koretzky (France)
11) Ruben Scheire (Belgium)
12) Anton Sintsov (Russian Federation)
13) Manuel Fumic (Germany)
14) Ondrej Cink (Czech Republic)
15) José Antonio Hermida Ramos (Spain)
16) Daniel McConnell (Australia)
17) Grant Ferguson (Great Britain)
18) Jens Schuermans (Belgium)
19) Andrea Tiberi (Italy)
20) Marco Aurelio Fontana (Italy)
21) Kohei Yamamoto (Japan)
22) Jan Skarnitzl (Czech Republic)
23) Henrique Avancini (Brazil)
24) Andras Parti (Hungary)
25) Catriel Andres Soto (Argentina)
26) Alan Hatherly (South Africa)
27) Leandre Bouchard (Canada)
28) Moritz Milatz (Germany)
29) Shlomi Haimy (Israel)
30) Rubens Donizete Valeriano (Brazil)
31) Dimitrios Antoniadis (Greece)
32) Chun Hing Chan (Hong Kong, China)
33) Andrey Fonseca (Costa Rica)
34) Simon Andreassen (Denmark)
35 LAP) Peter Sagan (Slovakia)
36 LAP) Scott Bowden (Australia)
37 LAP) Samuel Gaze (New Zealand)
38 LAP) Howard Grotts (United States of America)
39 LAP) Tiago Jorge Oliveira Ferreira (Portugal)
40 LAP) Raphael Gagne (Canada)
41 LAP) Nathan Byukusenge (Rwanda)
42 LAP) James Reid (South Africa)
43 LAP) Zhen Wang (People’s Republic of China)
44 LAP) David Joao Serralheiro Rosa (Portugal)
DNF) Lars Forster (Switzerland)
DNF) Alexander Gehbauer (Austria)
DNF) Peter Lombard II (Guam)
DNF) Rudi van Houts (Netherlands)
DNF) Phetetso Monese (Lesotho)
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Articolo a cura di Roberto Chiappa

Foto: © Getty Images Sport – © TDW Sport – © Rob Jones (Canadian Cyclist)

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