Doping, il ciclismo è davvero cambiato?

Valentin Iglinskiy, Matteo Rabottini, Luca Benedetti. Ultimi tre casi che vanno ad aggiungersi a una lista ancora troppo lunga per ritenere che il ciclismo attuale si sia davvero ripulito rispetto al passato. Tre casi isolati, o punta dell’iceberg?


Ci risiamo. Dopo un periodo di relativa calma, l’ambiente del ciclismo professionistico è scosso da altri due clamorosi casi di doping. Il kazako Valentin Iglinskiy (Team Astana), fratello del più noto Maxim, trovato positivo all’EPO a seguito di un controllo antidoping realizzato l’11 agosto all’Eneco Tour. Poi, il solito refrain. L’atleta ha assunto la sostanza dopante di sua spontanea volontà, la squadra non sapeva nulla, la colpa è esclusivamente dell’atleta, ecc ecc. Dichiarazioni di circostanza, lette e sentite più di una volta.

Stessa musica per Matteo Rabottini (Team Neri Sottoli), positivo dopo un controllo a sorpresa del 7 agosto. Per lui, inserito nella lista dei papabili azzurri per il Mondiale di Ponferrada, i Campionati del Mondo sono finiti prima ancora di iniziare.

C’è poi il caso di Luca Benedetti, che pur non appartenendo a un team World Tour (è tesserato per il team Amore & Vita-Selle SMP), è stato trovato positivo alla Darbepoetin (dEPO) dopo un controllo effettuato il 6 giugno, a seguito del GP de Saguenay. E per Benedetti si tratta della seconda violazione del Codice WADA (World Anti Doping Association), dopo il biennio di purgatorio inflittogli nel 2011 come conseguenza dell’inchiesta di Padova sul GiroBio 2010, che portò alla esclusione della Unidelta Lucchini, la squadra nel quale militava a quel tempo. Per il 26enne toscano si prospetta la squalifica a vita. Non certo una bella prospettiva, alla sua età.

Ma l’EPO non era ormai superata? Non si era giunti all’utilizzo di CERA, l’eritropoietina ricombinante, i cui effetti si prolungavano per un mese anziché per pochi giorni? Il CERA è stato utilizzato nel recente passato ma il “marker” (un molecola indicatrice) in esso contenuto è facilmente rintracciabile in un qualsiasi controllo ematico. Con l’introduzione del Passaporto Biologico, poi, è pressoché impossibile assumere CERA senza essere scoperti. Allora si è tornati a sostanze rintracciabili solo per ristretti intervalli di tempo. L’EPO è perfetta per questi subdoli scopi, soprattutto se utilizzata in microdosi. Iniettata in vena, fa aumentare l’ematocrito ai livelli desiderati, consentendo allenamenti con carichi di lavoro molto pesanti. Basta poi un’aspirina e l’ematocrito scende a livelli normali, come da Passaporto Biologico. Ma qualcosa in questa pratica può andare storto. Se l’EPO viene iniettata nel muscolo anziché in vena, rilascia i propri effetti molto più lentamente, anche dopo una settimana. E se nel frattempo arriva il controllo, l’atleta è fregato.

La lista UCI degli atleti squalificati è sempre più lunga, e lo sarà ancora di più a partire da gennaio 2015, quando la sanzione per la prima violazione del Codice WADA sarà di 4 anni anziché 2, come previsto attualmente. Perché rischiare? Un professionista ha tanti motivi per farlo. Vittorie, contratti, sponsor, fama. In una parola, soldi. Ma il doping, nel ciclismo, non riguarda soltanto i professionisti. C’è un substrato sommerso, dove i controlli sono pochi e le possibilità di manovra molto ampie. Dilettanti e juniores. Qui non esiste il Passaporto Biologico. I “santoni” dal farmaco facile (medici, direttori sportivi, preparatori atletici) possono sbizzarrirsi nel delinquere sulle giovani leve. In FCI è suonato un campanello di allarme dopo i casi di doping di qualche giorno fa, riguardanti due dilettanti e uno junior. Nei guai sono finiti i dilettanti Luca Cingi (classe 1991) e Dario Mantelli (classe 1990), entrambi positivi all’EPO e tesserati per la società Malmantile-Romano Gaini-Taccetti, e uno junior, Giovanni Di Maria, (classe 1996), tesserato per la Multicar Amarù Caneva, positivo alla Darbepoetina (dEPO). La FCI ha convocato i direttori sportivi e i medici delle rispettive società, e se durante le audizioni dovessero emergere elementi riguardanti specifici fatti di doping, trasmetterà gli atti alla Procura Antidoping del Coni per gli adempimenti di competenza. Il 70% dei controlli antidoping nazionali il cui costo è sostenuto dalla FCI sono rivolti alle categorie giovanili, ma evidentemente ciò non rappresenta un deterrente sufficiente per chi professa il doping tra i giovani. Ed è questo un crimine che andrebbe punito con pene inflessibili e multe ben più severe.


Articolo a cura di Roberto Chiappa

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